Un recente studio nel Regno Unito (pubblicato su Jama Pediatrics e intitolato “Early Gluten Introduction and Celiac Disease in the EAT Study”) ha riacceso l’interesse della comunità scientifica sui rapporti tra introduzione del glutine durante lo svezzamento e il rischio di sviluppare la celiachia oltre il primo anno di vita. Com’è noto, la celiachia è una malattia autoimmune dovuta ad una intolleranza permanente al glutine (in particolare alla gliadina che, insieme alla glutenina, costituisce la componente proteica della farina). Il glutine è presente nel grano, nell’orzo, nella segale e nel farro. La celiachia comporta un danno della mucosa intestinale con conseguente malassorbimento e ritardo di crescita. A dieta senza glutine condotta in modo rigoroso la mucosa intestinale guarisce con conseguente benessere. La dieta senza glutine va proseguita per tutta la vita.
Nello studio di Jama Pediatrics sono stati studiati circa 1000 lattanti, allattati al seno e suddivisi in 2 gruppi: nel primo è stato attuato uno svezzamento standard con introduzione del glutine dal 6° mese (gruppo “standard”, 516 soggetti); nel secondo gruppo (488 bambini) il glutine (sotto forma di biscotti) era introdotto, insieme ad altri allergeni, dal 4° mese (gruppo “precoce”), in quantità media di 500 mg/die (pari ad un quarto di una fetta di pane), mantenendo sempre l’allattamento materno.
Il risultato (sorprendente) è che all’età di 3 anni, la celiachia era diagnosticata in 7 casi del gruppo standard (tardiva introduzione del glutine) e in nessun soggetto del gruppo “precoce”, permettendo agli autori dello studio di ipotizzare che la precoce introduzione di glutine al momento dello svezzamento possa prevenire lo sviluppo di celiachia.
Commento
Il pediatra e il gastroenterologo pediatra sanno che quando alla famiglia si propone un sospetto diagnostico di celiachia, questo viene vissuto come un dramma (a torto). Sembra che la celiachia sia una tragedia irreparabile: ciò è davvero inspiegabile ancorché ingiustificabile. Da ciò la tendenza a ritardare il più possibile l’introduzione del glutine durante lo svezzamento, attitudine a volte supportata dai medici. Anche la recente descrizione di un’entità vaga e indefinita quale la cosiddetta “sensibilità al glutine” (“gluten sensitivity”), un caravanserraglio dove confluiscono sintomi e segni clinici più disparati, ha contribuito non poco alla demonizzazione del glutine
Il lavoro di Jama Pediatrics presenta qualche limite (come tutti i progetti di ricerca d’altra parte): ad esempio, non erano indagati lattanti con allattamento non materno e non si conosce la predisposizione genetica alla celiachia (HLADQ2 e HLADQ8) nei 2 gruppi.
Nel 2016 una review pubblicata su Journal of Pediatrics 2016,168:132-43) suggeriva che la precoce introduzione del glutine nello svezzamento non aumentava affatto il rischio di celiachia e che non vi era differenza tra allattamento al seno e allattamento formulato nei riguardi di tale rischio. In precedenza, importanti studi sul New England Journal of Medicine (2014; 371:1304-1315; 2014; 371:1295-1303) suggerivano che la precoce introduzione del glutine nello svezzamento (anche a partire dal 4° mese) in soggetti con parenti di I grado affetti da celiachia (e con assetto genetico di predisposizione alla malattia) non comportava un aumento del rischio di celiachia in epoche successive allo svezzamento, confermando inoltre che il tipo di allattamento al momento della introduzione del glutine era indifferente nei riguardi di tale rischio.
Pertanto, al momento dello svezzamento l’introduzione del glutine può essere prescritta e incoraggiata, anche per favorire l’interesse del lattante verso gusti e sapori nuovi, senza alcuna ansia nei riguardi del rischio di celiachia, anche in presenza di familiarità significativa per la malattia. Ovviamente, l’allattamento materno va sempre incoraggiato, a prescindere dalla problematica del rischio di celiachia.